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NELLA VALIGIA DELL'ALLENATORE
Una nuova voce nel dialogo va ad impreziosire il nostro sito con una nuova rubrica: la nostra proposta di collaborazione per Roberto Alessio è stata quasi “un’offerta che non si può rifiutare” e incassata una risposta positiva ed entusiasta, non ci siamo fatti sfuggire l’occasione, consapevoli, nel nostro piccolo, della necessità di un po’ di lungimiranza e allergici alla chiusura mentale che ci porrebbe al riparo da benefiche contaminazioni.
Parliamo di… è un’altra tessera del mosaico che stiamo cercando di comporre, per offrire a esperti, interessati, o semplicemente curiosi, delle opinioni qualificate, ora da confutare, ora da assimilare, ma che rappresentano comunque occasioni per momenti di condivisione, riflessione e approfondimento in materia diritto sportivo, rapporti tra dirigenti, tecnici, giocatori e genitori, assetto di un settore giovanile di una società dilettantistica e, cosa non trascurabile, etica.
Vale la pena di riproporre la sintetica presentazione di chi condurrà questa rubrica.
Mister Roberto Alessio - anche se l’appellativo è riduttivo - è l’autore del libro “Nella valigia dell’allenatore” (terza edizione nel 2014), triestino, laureato nel 1992 in Giurisprudenza all’università di Bologna con una tesi dal titolo “Il rapporto di lavoro del giocatore di pallacanestro”, nel 2004 al corso di marketing per manager dello sport ha discusso la tesi “Progetto di costituzione e sviluppo del settore giovanile dell’U.S. Triestina Calcio”.
In possesso di qualifica di allenatore di base UEFA B, è stato istruttore nel settore giovanile della Triestina e, nel corso della sua lunga esperienza internazionale, del F.C. Koper e MNK Izola (Slovenia), istruttore nei Milan Junior Camp in Europa e U.S.A. e organizzatore e responsabile tecnico di alcuni soccer camp in Canada.
Dal 2010 docente abilitato della Scuola Regionale dello Sport del Friuli-Venezia Giulia e iscritto all’Ordine dei Giornalisti Pubblicisti, vanta numerose pubblicazioni in ambito giuridico e sportivo.
Tango, Samba e Beat
Non si crea mai niente che non esista già.
La creazione, in senso poetico come in chimica, è trasformazione.
(Vinicio Capossela)
Tango, Samba e Beat: pagine scelte
Riabilitando il vocabolo COPIARE e rendendolo del tutto positivo, perfettamente in sintonia con il concetto espresso da Vinicio Capossela, credo che “copiare”, nel significato lato delle sue fasi di “riprodurre”, “raccogliere”, “riassumere”, “elaborare” ed “esporre”, consapevolmente o no, sia la sola attività che possiamo esercitare e non solo in poesia o in chimica: quando la esercitiamo consapevolmente, possiamo scegliere se avere il merito - minimo - di riconoscere la precedente paternità di ciò che facciamo o diciamo, oppure la colpa - grave - di spacciarlo per una nostra creazione.
Il più delle volte “copiamo” inconsapevolmente, captando qualcosa come un’eco che rimbalza da chissà quanto tempo, senza nemmeno mettere a fuoco i segni percepiti dalle persone incontrate o le sensazioni lasciate dalle situazioni capitate: in questo caso è comunque opportuno dare per sottinteso che la nostra idea sia sempre “riciclata”, nel senso che la nostra unica capacità può consistere nel notare qualcosa, nel cogliere un senso in una persona, in un discorso, in un’immagine o in una pagina, più raramente nell’abbinare più elementi.
Posto che inconsapevolmente “copiamo” in continuazione, comunque ci sfiorano appena o ci attraversano proprio persone, situazioni, progetti, dai quali invece consapevolmente attingiamo “il meglio” o, nel peggiore dei casi, solo “l’utile”: come dire che, mentre ad una persona possiamo ispirarci, di un’altra possiamo servirci; nulla di scorretto in tutto ciò, anzi, generosamente valorizziamo anche chi non potrebbe mai ispirarci, riconoscendogli in fondo un suo perché.
Viene da sé che più vediamo, ascoltiamo, leggiamo, più confronti abbiamo e meglio possiamo scegliere da chi e cosa copiare o a chi e a cosa ispirarci.
Molto tempo fa avevo notato con piacere una sezione-biblioteca, con tanto di servizio prestiti, nel sito internet dell’A.D.C. Mario Rigamonti, società alla quale è inevitabile ispirarsi e che per molti aspetti mi piacerebbe vedere “copiata” nel nostro piccolo ad Asola.
Chi non lo vorrebbe, anche tra quelli che non lo ammetterebbero nemmeno sotto tortura?
Copiando e ispirandomi, cerco comunque di alzare i miei obiettivi e per questo motivo rilancio, aprendo nel sito internet dell’A.C. Asola questa rubrica, a beneficio di dirigenti, istruttori, giocatori, genitori, tifosi, dedicata alla letteratura sportiva, nella quale verranno proposte opere di autori che scrivono o hanno scritto di sport e di calcio, inteso a 360°, ma veramente, non solo perché fa tendenza dirlo.
Vado contro corrente e affermo con convinzione che in fin dei conti chi segue il calcio è sempre stato un lettore per definizione e per fare l’esperimento sarà sufficiente sostituire di quando in quando il supporto cartaceo, il luogo e l’ora: al posto della Gazzetta dello Sport, o Tuttosport, al bar, con il caffè, proviamo a sfogliare un libro di racconti di Jorge Valdano - sì, proprio il campione del Real Madrid - o di Osvaldo Soriano - il meglio che possa offrire la letteratura sportiva - di Eduardo Galeano - maestro nel costruire atmosfere - o del più grande narratore sportivo italiano, Federico Buffa, e proviamoci in qualche ritaglio di tempo libero, la sera, a letto o nella poltrona preferita.
Proviamo solamente, senza preconcetti!
Assaporiamo la filosofia del pallone sudamericana e accostiamoci alla grande tradizione sportiva anglosassone, apriamo l’angolo della nostra visuale e se non sarà il primo libro che prenderemo in mano a piacerci, sarà quello successivo, o quello dopo ancora: ne troveremo comunque per ogni gusto.
L’incontro con l’autore, perché proprio di incontro con la persona si tratta, oltre a gratificarci al momento con la lettura e con l’informazione sugli argomenti più vari, ci lascerà dei segni che rimarranno latenti, sempre pronti, nel momento opportuno; sono certo che ognuno possa trovare tra le pagine il richiamo adatto per idee e sensazioni, altrimenti difficili da evocare: segni che portiamo con noi, ma che spesso rimangono nascosti.
Buona lettura!
Paolo Balbi
Volta la Carta
C'è una donna che semina il grano
volta la carta si vede il villano...
(Fabrizio De André)
E' il momento di presentare una nuova rubrica, sempre aperta agli interventi di quanti, desiderando valorizzare le proprie opinioni o le proprie critiche, le volessero esprimere qui, com’è permesso dai principi di questa società.
Il titolo della nuova rubrica, oltre ad essere una bella canzone, gioiosa, di un cantautore che è un poeta, è un’esplicita scelta di qualità, assolutamente non casuale, per tutti i significati che possiamo trovare nell’azione di “voltare la carta”.
Tanto per trovarne qualcuno: cosa facciamo per vedere quel che c’è dietro ad una vistosa facciata, scoprendo così i reali scopi di un progetto, quindi per approfondire? Voltiamo la carta, naturalmente.
Si volta la carta per aprirsi all’esterno e manifestare la propria opinione, quando la nostra posizione non sia di debolezza e non ci sia bisogno di difenderla con la censura e rinchiudendola in una tana.
In certi giochi voltare la carta significa continuare a giocare, quindi decidere; in altri stabilire chi ha vinto, confrontarsi, in altri ancora verificare ciò che la sorte ci riserva.
Voltare la carta è cambiare – è in questo caso l’espressione sorella di girare pagina – e far tesoro dei propri errori di valutazione e delle proprie esperienze negative, quindi anche archiviare, per seguire nuovi indirizzi, che rimane l’unico modo certo per progredire.
Girare pagina ha anche valore letterale e allora si volta la carta fisicamente, per continuare a leggere e informarsi.
Voltare la carta permette di vedere le cose da un’ottica diversa, mettersi nei panni del proprio prossimo, ma anche offrirgli, a nostra volta, il nostro punto di vista, condividere e dialogare.
In fine possedere familiarità con tutti questi concetti, insiti nelle semplici parole “volta la carta”, come effetto collaterale, ma non trascurabile, fa anche in modo da non farci rappresentare un terreno fertile per chi le carte volesse cambiarle in tavola.
Approfondire, aprirsi, manifestare, decidere, confrontarsi, verificare, cambiare, archiviare, progredire, informarsi, condividere, dialogare sono tutte azioni indispensabili nello svolgimento di ogni attività, quando e se portata avanti con professionalità e con la prospettiva che possa avere futuro e continuità: in questo caso si tratta della conduzione, in campo e fuori, delle nostre società sportive dilettantistiche.
Inutile cercare qui abbonamenti a giornali, metodi, dimostrazioni, paccate di schemi variopinti o altre mercanzie in offerta speciale: cultura sportiva e etica costituiranno il filo conduttore degli interventi.
Voltiamo la carta, le occasioni ed i motivi per farlo sono più frequenti di quanto si immagini.
Paolo Balbi
Studio e Sport Insieme
Cambia l’età dei giocatori e cambiano i carichi di lavoro sul campo e a scuola: come ogni anno, ad accompagnare questi cambiamenti, le solite incognite.
“Solite incognite” sembra una contraddizione in termini; in fin dei conti tutti i nostri piccoli atleti non stanno facendo altro che ripercorre strade sicure che avevamo segnato noi e che più di recente hanno seguito anche i nostri figli, ma l’esperienza altrui è niente in confronto ad esserci.
Ogni bambino che passa dalla scuola elementare alla scuola media, ogni bambino che inizia a giocare a 9 o a 11, ogni ragazzo che si iscrive alla prima superiore o che sperimenta per la prima volta un pallone numero 5, non è uno dei tanti che l’hanno fatto e che lo faranno: è il primo, l’unico.
Abbiamo un bel da fare noi a rassicurarlo, ricordandogli ciò che abbiamo fatto anche noi genitori, noi dirigenti e noi allenatori.
Nella sua testa esiste solo l’attesa per ciò che accadrà a lui ed è giusto che la sua attenzione sia per quel momento nel quale ogni cosa dipenderà da lui, dalla sua forza di reazione, dalle sue decisioni e dal suo senso ancora grezzo di come e quando agire.
Noi sappiamo che si tratta di situazioni e ostacoli che supererà, perché inconsapevolmente avrà già acquisito la capacità per farlo, ma lui no.
Certamente non faremo nulla per rendergli le cose più difficili, ma nemmeno lo manovreremo con un telecomando e dovremo riuscire a diventare noi talmente bambini, da attribuire la dignità di prove della vita a cose che altrimenti ci sembrerebbero banalità.
Uno dei problemi di gestione della quotidianità al crescere di quei carichi di lavoro scolastico e sportivo è il tempo a disposizione.
Per fortuna nostra e del nostro bambino, almeno questo è un falso problema, nel senso che spetterà a noi fare in maniera che egli stesso realizzi che c’è un tempo per studiare e c’è un tempo per giocare a pallone, entrambi nella stessa giornata.
A noi ormai sembra normale chiamare scherzosamente “dottore” il bambino che avevamo seguito nella scuola calcio, ma nel frattempo “dottore” lo è diventato veramente, si è laureato giocando a pallone.
C’è chi al falso problema è in grado di dare una vera soluzione: in questa rubrica pubblicheremo le testimonianze di chi, prima dei nostri ragazzi, ha saputo conciliare studio e sport con i migliori risultati.
Buona lettura.
Paolo Balbi
Europeo 2016
Signori, si parte…
...Parigi, Bordeaux, Lens, Lione, Marsiglia, Nizza, Saint-Denis, Saint-Étienne, Tolosa: la partenza è fissata da Parigi il 10 giugno, con ritorno sempre a Parigi il 10 luglio.
E’ France 2016!
Dopo averci accompagnati in Brasile due anni fa, Francesco Ratti ci farà da guida anche in Francia e ci preparerà per questo viaggio tra scatti istantanei, proiezioni in avanti e tuffi nella storia della competizione, dalla Francia del 1960 e dall’unico titolo dell’Unione Sovietica, alla doppietta spagnola delle due ultime edizioni, presentando persone, fatti e luoghi.
Avere la collaborazione di Francesco Ratti è un po’ una fortuna, un po’ un lusso: per noi che già frequentiamo il sito dell’A.C. Asola non si tratta di una sorpresa, abbiamo tutti fatto conoscenza con lui in occasione del Mondiale brasiliano del 2014 nella sua rubrica Mondiale 2014, ma a beneficio dei i nuovi arrivati, ai quali diamo il benvenuto, è utile almeno ricordare che si tratta dell’autore di Futbolario, a proposito del quale ho già avuto modo di scrivere:
“…non so se sia corretto parlare semplicemente di leggere “Futbolario”: c’è una prima lettura, seguita però dalla frequente consultazione e perciò sono certo che la scelta del sottotitolo “Compendio di calcio e di vita” sia quanto mai azzeccata.
Non è semplice parlare di uno scrittore e di un libro di calcio, già pubblicato con la prefazione di Stefano Paolini, fine conoscitore del calcio brasiliano - e scusate se è poco - ma “Futbolario” è uno di quei testi che si prestano a vari livelli di lettura: è scritto con la testa, quando si tratta di divulgare il materiale raccolto in lingua originale, scelto ed elaborato; è scritto con il cuore, quando ci trasporta in quella filosofia tutta sudamericana, dentro la quale rotola un pallone; è scritto con la pancia, quando diventa denuncia degli aspetti negativi della storia di questo sport, negli intrecci con cronaca e società...”
Calcio, storia, cultura, società saranno i souvenir che potremo trovare nelle soste del nostro viaggio: passione e competenza indicheranno il percorso di France 2016.
La prima tappa costituirà un fatto “storico” per la manifestazione, ma non vi voglio anticipare niente: che l’attesa vi sia breve e, come sempre, BUONA LETTURA!
Paolo Balbi
Defibrillazione
DEFIBRILLAZIONE: storia, cronaca e informazione
Ci è sembrato opportuno riservare uno spazio dedicato ad un argomento, la cui importanza va ben oltre l’attenzione che fino ad ora ha trovato negli organi di informazione e che nell’ambito delle nostre società sportive dilettantistiche per lo più è stato associato a concetti di onere economico, obbligo oppressivo e inutile complicazione.
Fortunatamente, una volta tanto, la nostra legislazione supplisce alla mancanza di cultura e sensibilità, superando in intelligenza l’informazione con atti di civiltà e progresso che sono le norme; certo non la supera in velocità, considerato il percorso verso l’obiettivo, difficoltoso per deroghe e proroghe.
Ne sono sicuro, accadrà e sarà stato proprio per quelle ritrovate cultura e sensibilità, ma un giorno la pratica della defibrillazione sarà considerata una normale e scontata componente dell’attività di una società sportiva, al pari del lavoro sul campo tra coni e cinesini o delle visite mediche periodiche di idoneità.
Io la colloco al primo posto tra i doveri morali che abbiamo verso i nostri tesserati e le loro famiglie, verso gli istruttori e i dirigenti e verso le nostre stesse società, che hanno la responsabilità dell’incolumità di centinaia di persone e della loro qualità di vita, almeno durante le attività di allenamento e gara.
In ogni caso il concetto generale del rispetto per la vita, che dovrebbe essere connaturato in ognuno di noi, non può risolversi confidando nella fortuna e deve essere evidente nel nostro impegno quotidiano e nella nostra professionalità.
La defibrillazione è spesso erroneamente immaginata come un evento scollegato, ma sarebbe sempre bene sottolineare che altro non è che un’azione, solo eventuale, di quella che nei testi viene chiamata catena della sopravvivenza, che è il complesso di tutti quei comportamenti indispensabili per la salvaguardia delle salute e della vita stessa delle persone nei casi di emergenza.
In Italia si parla di defibrillatori in ambito sportivo da una quindicina d’anni, ma l’apparecchio e la tecnica stessa, frutti di faticose ricerche e lunghe sperimentazioni, hanno origini lontane nel tempo.
In questa rubrica cercheremo di soddisfare le curiosità verso qualcosa di poco conosciuto, dare un’infarinatura senza alcuna presunzione scientifica, fornire un supporto agli addetti ai lavori delle nostre società sportive dilettantistiche e contemporaneamente informare, in modo da presentare un quadro della situazione obiettivo ed aggiornato.
Com’è nei nostri principi, cercheremo di offrire gli interventi di esperti del settore e saranno ben accette le opinioni e le critiche di chi, informato o interessato alla materia, vorrà collaborare.
Paolo Balbi
Mondiale 2018
Per l’A.C. Asola è la seconda avventura di una rubrica mondiale in compagnia di Francesco Ratti: questa volta abbiamo deciso di partire per tempo.
L’evento è importante, i nostri lettori hanno avuto la possibilità di conoscere l’autore di persona, hanno potuto apprezzarne la competenza attraverso i suoi articoli e quindi faremo le cose in grande: come i signori, per andare a Mosca eviteremo le fatiche della guida, la frenesia degli aeroporti e le angustie dei pullman, ma copriremo invece le grandi distanze su di un vecchio treno di gran lusso: tempi dilatati, ambiente accogliente, potremo leggere, ascoltare, parlare, sempre con il regolare rumore di sottofondo, tipico dei convogli d’inizio novecento, cullati da un gradevole dondolio, mentre fuori dai finestrini il paesaggio ci scorrerà davanti agli occhi e decideremo quando andare nella carrozza bar–ristorante per una pausa caffè o per la cena preparata dallo chef; il salotto per fumatori sarà sempre a nostra disposizione.
Viaggiatori in carrozza, partiamo puntuali ed entriamo in clima mondiale: per voi il viaggio sarà già parte dell’evento, ogni tappa, una storia!
L’edizione numero 21 del Campionato del Mondo di Calcio nasce il 2 dicembre del 2010, giorno della votazione nella quale la Russia supera per distacco la candidatura di Spagna e Portogallo e quella di Olanda e Belgio; l’Inghilterra aveva ritirato la propria già dopo il penultimo scrutinio.
E’ l’undicesima volta in Europa, contro le 8 del continente americano, una per l’Asia e una per l’Africa, ma la prima nell’Europa dell’est.
La nazionale russa non è che l’ombra di quella che fu la squadra sovietica che vinse il Campionato Europeo nel 1960, piazzandosi al secondo posto per ben 3 volte, o che disputò una semifinale in un Mondiale: quella nazionale era frutto di una selezione su una base di quasi 300 milioni di abitanti, contro la metà scarsa attuale; la frammentazione dell’URSS ha dato origine a più di una nazionale competitiva ma i paragoni non sono possibili, anche per le interferenze di un mercato globale, che ostacola la continuità del lavoro della nazionale, portando i campioni dell’est in occidente, sostituiti a volte addirittura con giocatori sudamericani che li fanno rimpiangere.
Il torneo si svolgerà tra il 14 giugno e il 15 luglio, quasi del tutto concentrato entro il versante europeo degli Urali, in 12 stadi di 11 città, che impareremo a ricordare fin da subito: Mosca, Ekaterinburg, Kaliningrad, Kazan, Nižnij Novgorod, Rostov sul Don, Samara, Saransk, San Pietroburgo, Soči, Volgograd.
Lo Stadio Lužniki di Mosca ospiterà gli 81.000 spettatori della finale.
Secondo la formula che risale all’edizione di Francia 1998, vi parteciperanno 32 squadre: iscritta di diritto la Russia, in qualità di paese ospitante, si contenderanno le altre 31 presenze le squadre europee (13 posti), quelle asiatiche (4 posti + 1 ai play off), quelle africane (5 posti), quelle del nord-centro America e Caraibi (3 posti + 1 ai play off), quelle sudamericane (4 posti + 1 ai play off) e quelle dell’Oceania (1 ai play off).
Con l’obiettivo puntato sulla cronaca e sulla storia, sui personaggi e sui luoghi, Francesco Ratti ci accompagnerà nel percorso di avvicinamento a Russia 2018 e sarà con noi durante il torneo.
Buon viaggio e buona lettura.
Paolo Balbi
Árpád Weisz
“…ci fu un altro danubiano, mi sembra si chiamasse Veisz, era molto bravo ma anche ebreo e chi sa come è finito.”
A chiederselo nella prefazione di Millenovecentonove - novant’anni di emozioni, bel volume edito per i 90 anni dalla fondazione del Bologna F.C., era niente meno che Enzo Biagi, addirittura storpiandone il cognome, che era in realtà Weisz.
Non so se il rimpianto grande giornalista sia mai stato consapevole che quella sua semplice domanda avrebbe avuto l’effetto di togliere un velo calato sopra 55 anni di storie e cronache; mi auguro di sì, anche perché qualunque domanda di Enzo Biagi non era mai una domanda qualunque.
Per suggerire la portata del personaggio Árpád Weisz, si pensi che è stato ed è l’allenatore dei record: il primo a vincere un campionato a girone unico - quello secondo la formula tutt’ora in vigore - ancora oggi è l’allenatore più giovane ad aver vinto uno scudetto e tra i pochi ad averne vinti con due squadre italiane diverse, evento che statisticamente capita soltanto una volta ogni circa 15 anni.
Oggi sarebbe un tecnico di prima grandezza, a fianco di Mourinho o Guardiola.
Sarebbe già una somma di motivi sufficienti per scrivere di Árpád Weisz, ma l’obiettivo di coniugare sport e cultura ne fa il miglior protagonista di una rubrica: nazionale di quell’Ungheria che iniziò ad esportare la prestigiosa Scuola Danubiana in tutto il continente, giocatore prima e allenatore poi di un’Inter vincente, ebbe la sua consacrazione con il Bologna, conquistando due scudetti consecutivi e il Torneo dell’Expo Internazionale di Parigi, che valeva la Coppa dei Campioni, superando in finale i maestri inglesi, un altro primato per il calcio italiano.
Qualcosa di personale sulla sua vita?
Non ancora ventenne combatté nelle trincee del Carso durante la Grande Guerra e, catturato dalle truppe italiane, trascorse anni in un campo di prigionia in Sicilia.
E poi?
Tornato in Italia dall’Ungheria, scrisse in italiano “Il Giuoco del Calcio”, un manuale di calcio innovativo e di grande successo e collaborò a lungo con le maggiori testate sportive nazionali.
Altro?
In qualità di ebreo straniero e in base alle Leggi Razziali del Regno d’Italia, espulso dal territorio nazionale dopo più di dieci anni di successi assieme a moglie e due figli piccoli, si rifugiò prima a Parigi e poi in Olanda.
A questo punto rimane la domanda di Enzo Biagi: chi sa come è finito.
La fine non tardò ad arrivare; nelle camere a gas di Birkenau per la moglie e i due bambini, nel campo di sterminio di Auschwitz per Weisz, dopo più di un anno di lavori forzati.
In questa rubrica metteremo a disposizione tutte le notizie, i testi ed il materiale fotografico reperibili: sarà una maniera per dimostrare la nostra grande stima e solidarietà per la persona.
Il rammarico per non averlo potuto avere più a lungo nel nostro calcio è pari allo sdegno che suscita la sua vicenda.
Paolo Balbi
Europeo 2020
Fa piacere che i nostri appuntamenti con Francesco Ratti per i grandi tornei internazionali siano già diventati tradizione: dopo le sue rubriche di approfondimento dedicate a due campionati mondiali e un europeo, adesso è la volta di EURO 2020.
La denominazione ufficiale è quanto mai appropriata, trattandosi di un campionato diffuso, che si giocherà nella sua fase finale nelle città di ben 12 nazioni: Azerbaigian, Danimarca, Germania, Inghilterra, Irlanda, Italia, Olanda, Romania, Russia, Scozia, Spagna e Ungheria.
Precisamente, tra fase a gironi, quarti e ottavi, nell’arco di un mese ognuna tra Baku, Copenaghen, Monaco, Dublino, Roma, Amsterdam, Bucarest, San Pietroburgo, Glasgow, Bilbao e Budapest ospiterà quattro partite; l’esclusione di Bruxelles, privilegerà Londra, dove, oltre alle quattro partite iniziali, si giocheranno anche le due semifinali e la finale.
Ad aprire e a chiudere la manifestazione saranno il vecchio e il nuovo: il 12 giugno la partita inaugurale si giocherà all’Olimpico di Roma, Opera del Regime inaugurata nel 1927 e più volte ristrutturata, mentre la finale si giocherà il 12 luglio a Londra, al Wembley Stadium, quello nuovo, inaugurato nel 2007 e che non potrà mai sostituire nella fantasia e nella memoria di tutti gli appassionati il vecchio Wembley, demolito nel 2003.
Secondo i punti di vista questo campionato può essere considerato in contro tendenza, nel proprio spirito di inclusione e superamento dei confini, a dispetto di una stagione di divisioni, muri e reticolati, o conforme invece a una lenta tendenza, che potrebbe portare a rendere i confini solo concetti storici, strettamente collegati alle guerre continentali dei due secoli scorsi.
Sarà la sedicesima volta che verrà messa in palio la Coppa Delaunay, per il mio gusto estetico la più bella tra tutte, nei suoi otto chili di puro argento, capolavoro del maestro orafo Igino Iacovacci, di Avellino.
Per chi non disdegna di ascoltare qualche storia, perdendo per un attimo di vista il pallone, Henry Delaunay è stato un dirigente sportivo francese, primo dirigente generale dell’UEFA, cofondatore della Coppa Rimet e fautore del Campionato per Nazioni, in sostituzione della Coppa Internazionale, una manifestazione della quale si è parlato poco, a cadenza pluriennale, della quale si disputarono 5 edizioni, due delle quali vinte dall’Italia di Vittorio Pozzo.
Delaunay non fece in tempo a vedere realizzato il suo progetto, con la Coppa Europa del 1960, e a lui fu dedicato il trofeo, realizzato dal figlio Pierre, in un primo tempo di dimensioni più ridotte, rinnovato dal 2008.
La Spagna detiene le due coppe in entrambe le versioni.
Nell’albo d’oro troviamo Spagna e Germania (Ovest e Unita) con tre vittorie, Francia con due e Cecoslovacchia, Danimarca, Grecia, Italia, Jugoslavia, Olanda, Portogallo e Unione Sovietica con una.
Per quest’edizione venti squadre si qualificano con il vecchio sistema, mentre le ultime quattro vengono decretate dai play off stilati in base alla classifica complessiva della UEFA Nations League 2018-2019: una novità forse non indispensabile.
La prossima edizione del 2024 si svolgerà per la seconda volta in Germania, in dieci città: Berlino, Amburgo, Colonia, Dortmund, Düsseldorf, Francoforte, Gelsenkirchen, Lipsia, Monaco e Stoccarda.
Per intanto, BUON EURO 2020, in viaggio per il vecchio continente, e buona lettura con Francesco Ratti, che certamente vi offrirà una rubrica per niente banale.
Paolo Balbi
Mondiale 2022
Come anticipato in www.asolacalcio.it , quest’anno non offriremo la consueta rubrica sul Campionato del Mondo, che si svolgerà in Qatar, stravolgendo i calendari dei campionati professionistici dell’intero mondo, assieme alle abitudini degli appassionati, dal 21 novembre al 18 dicembre, quasi come l’Avvento dei Cristiani, ma con liturgie laiche da Paese dei Balocchi.
Quindi niente spazio alle partite, ai campioni in vetrina e agli eccessi del lusso che surclassano qualunque fantasia, ma una lente puntata su come è nata la designazione della XXII edizione nell’emirato e cosa ha significato e sta tutt’ora significando in termini di perdite di vite umane e spregio assoluto anche dei più elementari diritti umani, tra le sempre più stridenti contraddizioni.
In attesa della prossima edizione, che si svolgerà congiuntamente in Canada, Messico e Stati Uniti d’America nel 2026, quella che è una delle più importanti e attese manifestazioni sportive, si trasforma per ora in uno spettacolo grottesco e folcloristico: un baraccone da nababbi in mezzo alla sabbia.
Chi cerca commenti, tabellini delle partite, classifiche e marcatori non avrà che l’imbarazzo della scelta per tenersi aggiornato altrove; noi abbiamo scelto un atteggiamento più compatibile con i nostri principi etici e sportivi.
Come nelle passate occasioni degli importanti appuntamenti internazionali, ci accompagnerà in queste pagine il nostro storico collaboratore Francesco Ratti.
Sperando di non deludere i nostri tanti lettori per questa scelta e nell’intento di mettere loro a disposizione notizie e testi, che magari non sono di così facile reperimento nei media più frequentati, auguriamo una buona lettura.
Paolo Balbi
Europeo 2024
Europeo 2024, il nostro sesto appuntamento con i grandi avvenimenti calcistici, è in questa rubrica su www.asolacalcio.it.
Come è consuetudine fin dal 2014 in occasione dei grandi tornei internazionali, anche in questa nuova rubrica avremo la collaborazione dell’amico Francesco Ratti.
Il Campionato Europeo è una manifestazione nata quasi in sordina: nelle prime 2 edizioni la fase finale era appannaggio di sole 4 semifinaliste e si risolveva in 4 partite, giocate in una manciata di giorni, che portavano all’assegnazione della Coppa Henry Delaunay, il trofeo che tutt’ora è il premio per la squadra vincitrice - a proposito, vi ricordate che dal 2008 quella che è certamente la più bella coppa nel mondo del calcio è realizzata dai maestri argentieri di Avellino dell’industria Iaco Group srl, da 40 anni specializzata nella produzione dei più prestigiosi trofei di tutto il mondo?
Questa volta è la Germania ad ospitare la fase finale di un campionato che vede l’Italia detentrice del titolo e che ha l’arduo compito di difenderlo.
Sono 24 le nazionali qualificate, divise in sei gironi: una compagine esordiente nel torneo, la Georgia, e la Germania veterana delle presenze, ben 13 su 17, mentre l’albo d’oro vede in testa Germania e Spagna con tre vittorie, seguite da Italia e Francia con due, poi altre 6 nazionali con un successo ciascuna.
Sono 10 le città che ospiteranno le gare nei propri stadi: Berlino, Colonia, Dortmund, Düsseldorf, Francoforte, Gelsenkirchen, Amburgo, Lipsia, Monaco e Stoccarda.
La Germania, in qualità di paese ospitante, aprirà la serie delle 51 partite del tabellone il 14 giugno, con la Scozia, mentre la finale si disputerà il 14 luglio.
L’Italia giocherà la prima partita il 15 giugno a Dortmund con l’Albania, seguiranno i confronti con la Spagna a Gelsenkirchen e con la Croazia a Lipsia: girone per niente facile; per Spalletti e gli azzurri sarà subito impegnativo.
Buona lettura!
Paolo Balbi