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IL RUOLO DELLA COMUNICAZIONE NEL CALCIO di Tommaso Romagnoli

Megafono

Con grande piacere pubblico la tesi di laurea del Dott. Tommaso Romagnoli, orgolioso che sia stato un mio giocatore e che sia un nostro allenatore ed educatore.
L'argomento è di quelli fondamentali e troppo trascurati: la comunicazione.
Non è tra i gesti tecnici da trasmettere ai giocatori, ma l'assenza di comunicazione ostacola la trasmissione stessa, è una condizione molto sgradita ed è anche paggio quando c'è, ma è sbagliata.
Bravo Tommaso!

 

INTRODUZIONE

 Nel contesto del calcio giovanile, la comunicazione tra allenatore e giocatori svolge un ruolo chiave nello sviluppo tecnico e personale degli atleti. Questo studio parte dall’analisi del ruolo della comunicazione nelle dinamiche di squadra, con particolare attenzione alle interazioni tra allenatore e giocatori, per arrivare a individuare strategie efficaci che favoriscano la crescita sportiva ed emotiva degli atleti Under 11.

La comunicazione rappresenta un elemento fondamentale in ogni ambito della vita umana e assume un ruolo determinante anche nel contesto sportivo. Nel calcio giovanile, in particolare, la qualità dell’interazione tra allenatore e giocatori incide profondamente non solo sullo sviluppo tecnico- tattico degli atleti, ma anche sulla loro crescita emotiva e relazionale. Il linguaggio verbale, paraverbale e non verbale costituisce uno strumento essenziale per guidare il gruppo, motivare i giocatori e costruire un ambiente favorevole all’apprendimento e alla cooperazione.

Questo elaborato si propone di analizzare il ruolo della comunicazione in una squadra di calcio Under 11, esplorando le dinamiche interpersonali tra allenatore e giocatori e le strategie comunicative più efficaci per favorire il benessere del gruppo e il miglioramento delle performance sportive. La ricerca si basa su un approfondimento teorico che ha consentito di costruire una solida base di conoscenze, poi applicate nell’esperienza pratica del tirocinio svolto presso l’A.C. Asola. Il percorso accademico ha fornito gli strumenti per comprendere le dinamiche della comunicazione nello sport, e il tirocinio ha rappresentato un’opportunità per verificare sul campo l’efficacia delle strategie apprese e il loro impatto sullo sviluppo dei giovani atleti.

L’elaborato si articola in quattro capitoli. Il primo capitolo introduce le basi teoriche della comunicazione, approfondendo i principali modelli di riferimento e il loro impatto nel contesto sportivo. Il secondo esplora le dinamiche di gruppo all’interno di una squadra di calcio giovanile, analizzando il concetto di leadership e le strategie per la gestione dei conflitti. Nel terzo capitolo si approfondisce la relazione tra allenatore e atleta, con particolare attenzione alle conseguenze di una comunicazione inefficace e alle strategie per instaurare un dialogo costruttivo, includendo un'analisi del ruolo dell’allenatore come comunicatore ed educatore e delle competenze pedagogiche necessarie per il professionista sportivo. Infine, il quarto si concentra sull’esperienza pratica del tirocinio, illustrando episodi significativi e applicazioni concrete dei principi teorici esposti nei capitoli precedenti.

L’obiettivo di questa ricerca è quello di evidenziare l’importanza di un approccio comunicativo efficace nel calcio giovanile, sottolineando come una gestione consapevole delle interazioni possa influire positivamente sia sul rendimento sportivo che sullo sviluppo personale degli atleti.

 

CAPITOLO I: DEFINIZIONE E IMPORTANZA DELLA COMUNICAZIONE

 La comunicazione è un aspetto essenziale della vita umana, il mezzo attraverso cui le persone interagiscono, condividono informazioni, esprimono emozioni e costruiscono relazioni. Fin dalla nascita, rappresenta uno dei bisogni primari dell’individuo: il pianto di un neonato, un cenno del capo, la postura del corpo o il battito cardiaco accelerato sono tutte forme di comunicazione.

Oltre a trasmettere conoscenze e valori, la comunicazione è indispensabile per instaurare e mantenere relazioni interpersonali, prevenire e risolvere conflitti ed esprimere sentimenti. Nel contesto sportivo, assume un ruolo ancora più rilevante, poiché influisce sulla dinamica del gruppo e sulla gestione delle interazioni tra allenatore e giocatori.

  • Fondamenti della comunicazione

Il processo della comunicazione si basa su alcuni elementi fondamentali:

  • Emittente → Chi trasmette il
  • Messaggio → Il contenuto dell’informazione
  • Canale → Il mezzo attraverso cui il messaggio viene trasmesso (voce, scrittura, gesti, ).
  • Destinatario → Chi riceve il
  • Codifica → Il processo con cui l’emittente trasforma l’informazione in un formato comprensibile.
  • Decodifica → Il processo con cui il destinatario interpreta il messaggio
  • Rumore → Qualsiasi interferenza che può alterare la comunicazione (distrazioni, incomprensioni, barriere linguistiche).
  • Feedback → La risposta del destinatario, che conferma o modifica la percezione del
  • Contesto → L’ambiente o la situazione in cui avviene la comunicazione, che ne influenza il significato.

Comprendere questi elementi è essenziale per analizzare come la comunicazione possa essere efficace o problematica nei rapporti interpersonali e di gruppo.

  • La comunicazione verbale

La comunicazione verbale si basa sull’uso del linguaggio parlato ed è il mezzo più diretto per trasmettere informazioni. Nel contesto sportivo, l’allenatore utilizza il linguaggio verbale per impartire istruzioni, motivare la squadra e correggere eventuali errori. Affinché il messaggio sia efficace, le parole devono essere chiare, adeguate alla situazione e comprensibili per i destinatari.

  • La comunicazione paraverbale

La comunicazione paraverbale riguarda il modo in cui vengono pronunciate le parole e comprende tre aspetti fondamentali:

Tono → Indica lo stato d’animo dell’oratore. Un tono deciso trasmette sicurezza, mentre un tono aggressivo può generare ansia nei giocatori.

Volume → Deve essere adeguato alla situazione: un volume alto richiama l’attenzione, ma un tono troppo forte può risultare intimidatorio.

Ritmo → Se troppo veloce, può rendere difficile la comprensione; se troppo lento, può risultare monotono.

Un buon allenatore sa modulare il tono della voce a seconda delle situazioni: un tono rassicurante aiuta a motivare i giocatori, mentre uno deciso può servire a richiamare l’attenzione senza generare ansia.

  • La comunicazione non verbale

La comunicazione non verbale si basa sul linguaggio del corpo ed è particolarmente rilevante nel calcio giovanile, poiché permette di comprendere immediatamente le emozioni dei bambini. Per un allenatore, la postura, i gesti e le espressioni facciali sono strumenti essenziali per trasmettere informazioni ai giocatori.1

l linguaggio del corpo è altrettanto importante, specialmente nel calcio giovanile, dove spesso le emozioni vengono espresse attraverso gesti e postura.

  • Postura → Una posizione aperta e rilassata trasmette fiducia e disponibilità, mentre una postura chiusa, con le braccia incrociate, può indicare difesa o disagio.
  • Gesti → Annuire con il capo indica approvazione, mentre spalancare le braccia può enfatizzare un Le mani chiuse a pugno esprimono tensione o rabbia, mentre le mani aperte segnalano calma e disponibilità.
  • Espressioni facciali → Un sorriso spontaneo trasmette positività, mentre un’espressione tesa può comunicare nervosismo.
  • Contatto visivo → Essenziale per stabilire un legame con l’interlocutore, trasmette sicurezza e attenzione. Evitarlo può suggerire disinteresse o insicurezza.
    • Modelli teorici di comunicazione

Durante il XX secolo, numerosi studiosi hanno sviluppato modelli per spiegare il funzionamento della comunicazione. Questi modelli si sono evoluti nel tempo, mettendo in evidenza aspetti differenti del processo comunicativo. I modelli seguenti offrono strumenti di analisi utili per comprendere il ruolo della comunicazione nel calcio, in particolare nell’interazione allenatore- giocatore

1 F. Lever, P. C. Rivoltella, A. Zanacchi, La comunicazione: il dizionario di scienze e tecniche, Elledici, Torino, 2002, p. 294.

  • Modello lineare di Shannon e Weaver (1948)

Il primo modello scientifico della comunicazione, sviluppato nel contesto delle telecomunicazioni, descrive la comunicazione come un flusso unidirezionale dal mittente al destinatario, attraverso un canale. Non prevede il feedback e non tiene conto del contesto socioculturale, rendendolo poco adatto alla comunicazione interpersonale. È stato il primo a formalizzare la comunicazione in termini scientifici, ponendo le basi per lo sviluppo di teorie successive. La rigidità di questo modello e l’assenza di feedback lo rendono poco adatto a descrivere la complessità della comunicazione umana, portando alla necessità di modelli più interattivi e dinamici.

Il modello si basa su sei elementi fondamentali:

  • Fonte (o emittente): il soggetto o dispositivo che genera il
  • Trasmettitore: il mezzo che codifica e trasmette il messaggio (ad esempio, un telefono o un microfono).
  • Canale: il mezzo fisico o simbolico attraverso cui viaggia il messaggio (come onde sonore, onde radio o segnali elettrici).
  • Ricevitore: il dispositivo che decodifica il
  • Destinatario: la persona che riceve il
  • Rumore: qualsiasi elemento che può interferire con la trasmissione del messaggio, alterandone la comprensione.
  • Modello interattivo di Schramm (1954)

Schramm introduce il concetto di feedback, rendendo la comunicazione un processo bidirezionale. Questo modello evidenzia l’importanza dello scambio di informazioni tra emittente e destinatario, che si alternano nei rispettivi ruoli.

  • Modello di comunicazione di Jakobson (1960)

Il linguista Roman Jakobson ha sviluppato un modello che identifica sei funzioni del linguaggio, associandole ai principali elementi della comunicazione. Questo modello è fondamentale perché non si limita a descrivere il trasferimento di informazioni, ma analizza il ruolo e lo scopo del linguaggio nella comunicazione. Gli elementi sono:

Mittente → Chi invia il messaggio. Messaggio → Il contenuto comunicato. Destinatario → Chi riceve il messaggio.

Contesto → La situazione o l'argomento a cui si riferisce il messaggio. Codice → Il sistema di segni condiviso (lingua, simboli, gesti).

Contatto → Il canale fisico e il legame psicologico che permette la comunicazione.

Le funzioni elaborate da Jakobson:

Funzione emotiva (mittente) → Il linguaggio esprime emozioni e stati d’animo

Funzione conativa (destinatario) → Il linguaggio è usato per dare ordini, persuadere o coinvolgere Funzione referenziale (contesto) → Il linguaggio trasmette informazioni oggettive

Funzione fatica (contatto) → Serve per iniziare, mantenere o interrompere la comunicazione Funzione metalinguistica (codice) → Il linguaggio spiega sé stesso

Funzione poetica (messaggio) → Il linguaggio pone attenzione alla forma estetica del messaggio

Questo modello ha avuto un forte impatto negli studi sulla linguistica, la comunicazione e la semiotica, poiché ha mostrato che la comunicazione non è solo un trasferimento di informazioni, ma può avere scopi diversi a seconda del contesto. Jakobson ha evidenziato che, in una comunicazione, possono essere presenti più funzioni contemporaneamente, ma una sarà sempre predominante. Sebbene il modello sia stato oggetto di successive elaborazioni, rimane una base di riferimento fondamentale per l’analisi del linguaggio e delle sue funzioni2.

  • Modello circolare di Watzlawick, Beavin e Jackson (1967)

Il modello circolare di Watzlawick, Beavin e Jackson (1967) segna un cambiamento fondamentale nello studio della comunicazione, introducendo l’idea di processo continuo e interdipendente. Gli autori, nel loro celebre studio Pragmatica della comunicazione umana, sostengono che la comunicazione non ha un inizio o una fine definiti, perché ogni messaggio è influenzato dai feedback ricevuti e dalle risposte dell’interlocutore. Secondo questo approccio, ogni interazione è influenzata dal contesto e dalle risposte dell’interlocutore, rendendo la comunicazione un fenomeno circolare piuttosto che unidirezionale. Questi sono i principi fondamentali del modello:

  • Non si può non comunicare → Ogni comportamento umano trasmette un messaggio, anche il silenzio. Ad esempio, un allenatore che evita il contatto visivo con un giocatore può trasmettere insoddisfazione o disinteresse.
  • Livelli di contenuto e relazione → Contenuto: ciò che viene detto , relazione: il modo in cui viene detto, che esprime il rapporto tra gli interlocutori
  • La punteggiatura della comunicazione → Gli individui tendono a interpretare i messaggi secondo il proprio punto di vista, il che può causare incomprensioni e Ad esempio, un allenatore potrebbe pensare che un giocatore sia demotivato perché non si impegna, mentre il giocatore potrebbe sentirsi ignorato e quindi meno motivato. 

2 Ibidem

  • Comunicazione verbale e non verbale → Il linguaggio del corpo, il tono della voce e i gesti

influenzano il significato della comunicazione tanto quanto le parole.

  • Comunicazione simmetrica e complementare → I rapporti comunicativi possono essere simmetrici: tra persone con lo stesso livello di autorità (es. tra compagni di squadra) o complementari: tra figure con ruoli diversi (es. tra allenatore e giocatore), in cui uno guida e l’altro segue.

Nel contesto calcistico, questo modello aiuta a comprendere le dinamiche di squadra e il modo in cui allenatori e giocatori interagiscono. Un allenatore deve essere consapevole che ogni sua azione comunica qualcosa alla squadra e che la qualità della relazione con i giocatori influisce sulle loro prestazioni. Inoltre, deve saper interpretare i segnali non verbali dei giovani atleti, che spesso esprimono emozioni e stati d’animo attraverso gesti, espressioni facciali o postura.

Questo modello evidenzia l’importanza di una comunicazione chiara e rispettosa, sia tra giocatori che tra allenatore e squadra, per favorire la coesione e la motivazione all’interno del gruppo.

1.5-5 Modelli della comunicazione non verbale (Argyle, 1975) e successivi

Il modello di Argyle (1975) analizza l'importanza di gesti, espressioni facciali e contatto visivo nel

rafforzare il messaggio verbale. Studi successivi hanno ampliato questa prospettiva.

La comunicazione non verbale assume un ruolo cruciale nel calcio, poiché molte informazioni vengono trasmesse attraverso il linguaggio del corpo. Il contatto visivo tra allenatore e giocatore, le espressioni facciali di un compagno di squadra o la postura durante una partita possono avere un impatto significativo sulla prestazione e sulla dinamica di gruppo.

In un contesto come quello sportivo, dove le situazioni cambiano rapidamente, il linguaggio non verbale è spesso più immediato ed efficace della comunicazione verbale.

  • La comunicazione nello sport

La comunicazione gioca un ruolo essenziale negli sport di squadra, in particolare nel calcio, dove l’interazione tra allenatore, giocatori e arbitro può influenzare la dinamica della partita. Nel calcio giovanile, l’allenatore deve adattare il proprio linguaggio all’età e alle esigenze dei giocatori, utilizzando una comunicazione chiara e motivante.

La comunicazione verbale, paraverbale e non verbale sono componenti interdipendenti e influenzano direttamente l’efficacia dell’interazione tra allenatore e giocatori, nonché la coesione e la sinergia della squadra in allenamento e in partita.

  • Il messaggio nello sport

Nel calcio, la comunicazione verbale è fondamentale, poiché permette all’allenatore di trasmettere istruzioni tattiche e motivare i giocatori in modo efficace. Affinché il messaggio sia recepito correttamente, le parole devono essere scelte con cura, evitando ambiguità o termini troppo complessi, soprattutto quando si lavora con giovani atleti. Un linguaggio chiaro e preciso aiuta a prevenire fraintendimenti e garantisce che ogni giocatore comprenda il proprio ruolo e le indicazioni ricevute.

Un aspetto importante della comunicazione in ambito sportivo è la necessità di trasmettere messaggi in modo rapido ed efficace. Durante una partita o un allenamento, non c’è tempo per spiegazioni lunghe o articolate: per questo motivo, l’allenatore deve abituarsi a usare frasi brevi e dirette, evitando giri di parole superflui. Inoltre, il messaggio deve essere adeguato al livello di esperienza e all’età degli atleti, affinché tutti possano comprenderlo con facilità.

Non basta solo parlare in modo chiaro: è essenziale che l’allenatore sappia anche ascoltare i propri giocatori. Una comunicazione efficace è sempre bidirezionale, e l’ascolto attivo consente di cogliere eventuali dubbi, difficoltà o bisogni degli atleti, favorendo una relazione più solida e motivante.

Alcuni errori comuni nella comunicazione verbale possono compromettere la comprensione del messaggio, tra cui:

  • Ambiguità e vaghezza: l’uso di termini generici o poco chiari può generare confusione e incertezza su cosa si debba fare.
  • Ripetizioni eccessive: ripetere troppe volte la stessa indicazione può far perdere efficacia al messaggio e ridurre l’attenzione dei giocatori.
  • Mancanza di ascolto attivo: un allenatore che non presta attenzione alle risposte dei giocatori rischia di perdere informazioni importanti sulle loro esigenze e difficoltà.

Per migliorare la comunicazione verbale, è utile:

  • Utilizzare un linguaggio semplice e diretto, evitando discorsi troppo lunghi o tecnicismi
  • Adattare il linguaggio ai giocatori, tenendo conto della loro età e del loro livello di
  • Incoraggiare il dialogo tra allenatore e squadra, creando un ambiente in cui i giocatori possano esprimersi liberamente e confrontarsi sulle strategie di gioco.

Nel calcio, la comunicazione avviene su tre livelli principali, che devono essere sempre bilanciati:

  • Linguaggio verbale: parole e istruzioni esplicite utilizzate per coordinare i movimenti della squadra.
  • Linguaggio paraverbale: il tono, il volume e il ritmo della voce influenzano la percezione del messaggio e possono motivare o scoraggiare i giocatori.
  • Linguaggio non verbale: gesti, sguardi ed espressioni facciali sono essenziali per rafforzare il significato delle parole e trasmettere sicurezza o incoraggiamento.

Il compito dell’allenatore non è solo impartire ordini, ma anche creare un ambiente comunicativo efficace, in cui ogni giocatore si senta coinvolto, motivato e consapevole del proprio ruolo all’interno della squadra.

  • Dinamiche in allenamento

Durante gli allenamenti, la comunicazione deve essere chiara e sintetica, per evitare perdite di tempo, adatta all’età e al livello dei giocatori e basata su parole chiave, chiare a tutti favorire una comunicazione immediata.

  • Comunicazione in partita: allenatore, giocatori e arbitro

In partita, la comunicazione deve essere immediata e strategica. I giocatori devono sapersi coordinare tra loro, mentre l’allenatore deve fornire istruzioni in modo chiaro ed efficace. L’arbitro è una figura chiave nella gestione della partita e deve essere rispettato dai giocatori.

L’allenatore ha il compito di educare i suoi atleti al fair play e alla corretta gestione del rapporto con la direzione di gara.

  • Comunicazione nel calcio

La comunicazione nello sport del calcio è un punto fondamentale.

Riprendendo tutto ciò che è stato spiegato fino ad ora, è presente quindi un emittente che manda un’informazione al destinatario scegliendo la dimensione del linguaggio che ritiene più opportuna. La parte fondamentale della comunicazione, ancora prima che essa si instauri, è capire chi abbiamo davanti. La comunicazione con i bambini è molto delicata, perché bisogna utilizzare parole adatte a loro, creare concetti semplici ma di facile comprensione, renderli partecipi, motivarli.

Nell’allenamento il linguaggio verbale è molto importante perché le spiegazioni devono essere rapide e semplici per non annoiare il bambino e per rendere i concetti chiari; il linguaggio poi deve essere adatto all’età del giocatore che si ha davanti, senza parole o concetti complessi che possono portare confusione. Le parole chiave sono fondamentali per esprimere un concetto lungo, ad esempio la parola “solo” significa che chi ha la palla non ha nessun avversario vicino.

Il linguaggio non verbale è invece fondamentale per focalizzare l’attenzione su un aspetto specifico che si sta spiegando: posare infatti lo sguardo sui bambini durante la spiegazione è molto utile per farli sentire tutti importanti agli occhi dell’allenatore mentre è un errore focalizzarsi troppo su un bambino, o su pochi, poiché si rischia di far trasparire disinteresse verso gli altri o alimentare un senso di ansia eccessiva3.

La comunicazione allenatore-giocatore deve essere chiara e precisa e immediata per massimizzare l’efficacia dell’interazione Bisogna stare molto attenti alle varie personalità dei bambini con cui si parla: con alcuni, infatti, per aiutarli e spronarli in un momento di difficoltà ci vuole una comunicazione che trasmetta tranquillità e sicurezza mentre con altri bambini, con caratteri più vivaci, serve che si alzi il tono della voce per far capire in modo diretto e schietto che come stanno giocando non è soddisfacente per farli reagire e migliorare.

La comunicazione giocatore-giocatore serve per aiutarsi tra loro, per incoraggiarsi dopo un errore o per gioire insieme dopo un gol segnato. I giocatori devono gradualmente imparare a comunicare e collaborare tra loro, utilizzando le parole chiave apprese in allenamento.

L’arbitro in queste fasce d’età è difficile che ci sia ma, quando c’è, spesso i bambini fanno fatica a vederlo come figura principale da ascoltare per le varie indicazioni, come falli o rimesse, perché sono molto attaccati al loro allenatore. Appena l’arbitro sbaglia una scelta a sfavore, i bambini si lamentano ma qui è il compito degli allenatori far capire ai propri giocatori che come loro possono sbagliare, anche il direttore può sbagliare; devono vederlo come una figura di aiuto e non di ostacolo.

Fredella, G. M. Marzocchi, A scuola di calcio, Erickson, 2021, cap. 4, pp. 80-81.

 

CAPITOLO II: DINAMICHE DI GRUPPO, LEADERSHIP E GESTIONE DEI CONFLITTI

 Dal punto di vista sociologico, un gruppo è composto da due o più persone che si riconoscono in un’identità comune, interagendo con regole proprie e per il raggiungimento di obiettivi comuni4. La semplice aggregazione fisica di più persone non è sufficiente a definire un gruppo: in assenza di interazione e consapevolezza reciproca, si parla piuttosto di folla o organizzazione, piuttosto che di gruppo5.

  • Il gruppo nello sport giovanile

Il campo da calcio o semplicemente lo spogliatoio, oltre alla scuola, sono per il bambino un luogo di incontro, di gioco, di divertimento ma soprattutto di relazione con amici o sconosciuti. Da queste relazioni si viene a creare il gruppo squadra che è un insieme di persone che lavorano insieme, o in questo caso si divertono e imparano il gioco del calcio, relazionandosi tra di loro per raggiungere un unico obiettivo.

Il bambino in questa fase deve capire che non c’è più l’“io” ma piuttosto il “noi”, sia nelle vittorie che nelle sconfitte.

Un aspetto fondamentale che l’allenatore dovrebbe tenere conto è il clima emotivo-relazionale che si viene a creare all’interno della squadra. Il clima di gruppo, dato dall’insieme delle percezioni, dei sentimenti, degli atteggiamenti e dei comportamenti che si trovano tra i componenti del gruppo squadra, definisce l'atmosfera emotiva e relazionale di un gruppo. Un ambiente positivo infatti favorisce il benessere di ogni singolo giocatore e consente alla squadra di concentrarsi senza stress sugli obiettivi sportivi; la presenza di un clima negativo, ostile e svalutante tra i giocatori porta invece al malessere individuale e riduce l’efficacia complessiva del gruppo. È altrettanto vero che in una squadra non è presente un rapporto fraterno tra tutti i suoi componenti ma è fondamentale che ci sia una base di convivenza e di rispetto reciproco.

Per avere un clima positivo è importante avere determinati atteggiamenti che, all’interno di questo ambiente, sviluppino:

Accettazione: accettare il compagno per come è.

Rispetto: rispettare i compagni sotto il punta di vista sportivo e personale, evitando ogni tipo di offesa.

4 R. Kreitner, A. Kinicki, Comportamento organizzativo, 2ª ed., Maggioli Ed., p. 216.

5 Ibid, p. 218

Riconoscimento: riconoscere il compagno come parte integrante del gruppo, ascoltandolo e non isolandolo.

Apprezzamento: apprezzare il compagno per i suoi sentimenti, atteggiamenti e comportamenti. Esistono altri aspetti che bisogna tenere in considerazione quando si parla di gruppo squadra, come ad esempio i sottogruppi che si possono creare, la coesione e il senso di appartenenza all’interno della squadra.

  • Fattori che Determinano la Formazione di un Gruppo

Secondo Edgar H. Schein, psicologo delle organizzazioni, il concetto di gruppo si distingue da quello di folla o organizzazione in quanto implica un’identità condivisa, interazioni continue e la presenza di norme interne che regolano il comportamento dei membri6. Un gruppo non nasce spontaneamente, ma si forma attraverso dinamiche specifiche che dipendono da diversi fattori.

Un primo aspetto riguarda i fattori individuali, ovvero i bisogni psicologici e sociali degli individui che entrano a far parte di un gruppo per sentirsi parte di una comunità, trovare sicurezza e soddisfare il bisogno di appartenenza7. Nel calcio giovanile, il senso di inclusione che i bambini provano all'interno della squadra è fondamentale per il loro coinvolgimento e la loro motivazione. Un altro elemento importante è la condivisione di interessi e obiettivi comuni. Un gruppo tende a consolidarsi quando tutti i suoi membri mirano al raggiungimento di un traguardo collettivo. Nel contesto sportivo, gli obiettivi possono essere la vittoria di una partita, il miglioramento delle proprie capacità tecniche o la semplice partecipazione attiva all’attività di squadra8.

Le opportunità di interazione sono un altro fattore essenziale. La possibilità di trascorrere tempo insieme e condividere esperienze rafforza i legami tra i membri del gruppo. Nel calcio under 11, momenti come gli allenamenti, le partite e le attività fuori dal campo favoriscono la costruzione di un’identità collettiva e l'affiatamento9.

Un ulteriore aspetto da considerare è l'influenza reciproca tra i membri. Ogni individuo, oltre a interagire con gli altri, è anche influenzato dalle dinamiche del gruppo. Nei giovani calciatori, per esempio, il comportamento di un compagno di squadra con una forte attitudine collaborativa può essere d’ispirazione per gli altri, favorendo l’apprendimento di valori come il rispetto, la disciplina e la cooperazione10.

6 E. H. Schein, Organizational Culture and Leadership, 4ª ed., Jossey-Bass, 2010, p. 32.

7 H. Tajfel, J. C. Turner, An Integrative Theory of Intergroup Conflict, in W. G. Austin, S. Worchel (a cura di), The Social Psychology of Intergroup Relations, Brooks/Cole, 1979, p. 33.

8 K. Lewin, Principles of Topological Psychology, McGraw-Hill, 1936, p. 57.

9 M. Sherif, O.J. Harvey, B.J. White, Intergroup Conflict and Cooperation: The Robbers Cave Experiment, University of Oklahoma, 1954, p. 89.

10 I. L. Janis, Groupthink, 2ª ed., Cengage Learning, Boston, 1982, p. 9.

Questi fattori contribuiscono a costruire un gruppo coeso e armonioso, in cui il senso di appartenenza e la partecipazione attiva aiutano ad affrontare le sfide in modo più efficace. Se gestiti nel modo giusto, possono trasformare la squadra in un ambiente positivo e stimolante, favorendo sia la crescita sportiva che quella personale di ogni giovane atleta.

  • Il gruppo negli sport di squadra

All'interno di una squadra di calcio giovanile, è normale che si formino sottogruppi basati su fattori come amicizie preesistenti, ruoli di gioco o caratteristiche personali. Alcuni bambini, ad esempio, tendono a legare maggiormente con compagni di scuola che fanno parte della stessa squadra, mentre altri sviluppano un legame con chi gioca nella loro stessa posizione.

Indipendentemente dalla formazione di sottogruppi, è fondamentale che l’intera squadra sviluppi un elevato livello di coesione. Carron, Brawley e Widmeyer (1998) definiscono la coesione come: "un processo dinamico che si riflette nella tendenza dei membri di un gruppo a sostenersi a vicenda e rimanere uniti con il fine di perseguire obiettivi comuni e soddisfare i bisogni psico-emotivi derivanti dall’appartenenza al gruppo".

Carron identifica quattro fattori chiave che influenzano la coesione di squadra:

  • Fattore ambientale: Comprende la condivisione di esperienze, l’apprendimento di un approccio comune e la dimensione del Nei gruppi numerosi, la coesione dipende soprattutto dalla qualità dei rapporti interpersonali.
  • Fattore personale: Riguarda gli atteggiamenti individuali, la motivazione, la soddisfazione personale e la compatibilità tra i membri.
  • Fattore legato alla leadership: Il ruolo del leader (che può essere sia l’allenatore sia alcuni giocatori) è fondamentale per stabilire obiettivi chiari, definire ruoli e incentivare un clima di collaborazione e rispetto.
  • Fattore di squadra: Il successo collettivo e la partecipazione attiva di tutti rafforzano il senso di appartenenza e la motivazione. È quindi essenziale che ogni bambino abbia la possibilità di giocare e contribuire al percorso della squadra.

La coesione non è un elemento statico, ma varia nel tempo in base alle dinamiche interne e alle esperienze vissute. Ad esempio, all’inizio della stagione, la squadra deve ancora conoscersi e stabilire relazioni, mentre nel corso del campionato possono emergere situazioni di conflitto o rafforzarsi i legami esistenti. Si può paragonare la coesione a un pendolo che oscilla tra momenti di maggiore unione e momenti di difficoltà, influenzando le prestazioni della squadra.

Essere parte di un gruppo coeso porta numerosi vantaggi: aumenta la fiducia in sé stessi, stimola l’impegno e la concentrazione, migliora la gestione delle difficoltà e favorisce un atteggiamento

collaborativo. La squadra, infatti, non è la somma di singoli individui, ma una realtà collettiva che

può raggiungere i suoi obiettivi solo attraverso la cooperazione e il sostegno reciproco.

Essere un gruppo coeso porta però positività: alza la propria l’autostima, incrementa l’impegno e l’attenzione e spinge i giocatori ad affrontare le difficoltà insieme come squadra e non come singolo.

  • Costruire un senso di appartenenza

Il senso di appartenenza è un elemento fondamentale per il funzionamento di una squadra. Esso nasce dal riconoscersi parte di un gruppo, condividendo valori, obiettivi e responsabilità. Se la coesione riguarda il legame tra i membri, il senso di appartenenza si riferisce alla percezione individuale di essere parte di qualcosa di più grande, in cui il noi prevale sull’io.

Un ambiente che favorisce la cooperazione e il rispetto reciproco rafforza il senso di appartenenza. Quando i giocatori si sentono valorizzati e coinvolti nelle dinamiche di squadra, aumenta la loro motivazione, il loro impegno e la capacità di affrontare le sfide con determinazione. Al contrario, un clima caratterizzato da mancanza di comunicazione, esclusione o giudizi negativi sulle capacità degli altri può generare disinteresse, tensioni e conflitti.

Nei bambini il senso di appartenenza è particolarmente delicato. Anche se non è qualcosa di visibile, essi lo percepiscono profondamente e, quando viene a mancare, possono provare frustrazione, insicurezza o ansia. Per questo motivo, l’allenatore svolge un ruolo chiave: attraverso il dialogo, l’ascolto e l’incoraggiamento, può aiutare i giocatori a sentirsi parte integrante della squadra, contribuendo al loro benessere sia sportivo che emotivo.

  • La leadership

La leadership è la capacità di influenzare e guidare un gruppo verso un obiettivo comune. Nel contesto sportivo, il leader è colui che motiva, ispira e coordina la squadra, creando un ambiente favorevole alla crescita e alla cooperazione.

Non tutti i leader sono uguali: il loro impatto sulla squadra dipende dallo stile di leadership adottato. Esistono tre principali modelli di leadership:

  • Leadership autoritaria: Il leader prende decisioni senza consultare il gruppo e impone regole rigide. Questo stile può garantire efficienza e disciplina, ma rischia di generare frustrazione e mancanza di coinvolgimento nei giocatori.
  • Leadership democratica: Il leader coinvolge i membri nelle decisioni, favorisce la comunicazione e stimola il senso di responsabilità. Questo approccio migliora la coesione e la motivazione della squadra, ma può risultare meno efficace in situazioni che richiedono risposte rapide.
  • Leadership laissez-faire: Il leader lascia ampio margine di autonomia ai giocatori, intervenendo solo quando necessario. Questo modello favorisce la creatività e l’indipendenza, ma può portare a disorganizzazione e perdita di direzione.

Indipendentemente dallo stile adottato, un buon leader deve saper comunicare in modo efficace, adattando il proprio approccio alle situazioni e alle esigenze del gruppo. Nel calcio giovanile, l’allenatore ha il compito di orientare i giovani atleti, fornendo loro indicazioni chiare e incoraggiandoli a sviluppare autonomia e spirito di squadra.

  • La leadership nello sport di squadra

L’allenatore non è solo una guida tecnica, ma anche un punto di riferimento che influenza profondamente la motivazione, la coesione e le prestazioni del gruppo. La sua capacità di adattarsi, comunicare in modo efficace e gestire la dinamica interna della squadra determina il successo complessivo del team.

Nello sport di squadra, la leadership è un processo di influenza interpersonale volto a guidare il gruppo verso il raggiungimento di obiettivi comuni11. L'allenatore è il leader istituzionale della squadra, e il suo ruolo non si limita alla preparazione tecnica e tattica, ma coinvolge anche aspetti psicologici, educativi e motivazionali.

Secondo Giovannini e Savoia, psicologi dello sport, l'allenatore deve possedere competenze in diversi ambiti, tra cui quello educativo, tecnico, psicologico e manageriale12. Fabrizio Mazzali, esperto di dinamiche di gruppo e leadership sportiva, sottolinea però come non esista un modello universale di leadership efficace, poiché ogni contesto presenta caratteristiche uniche che richiedono adattabilità e flessibilità da parte del leader13. Un allenatore può ottenere ottimi risultati in un ambiente che si adatta al suo stile di gestione, ma incontrare difficoltà in contesti che richiedono approcci diversi. La capacità di adattarsi alle condizioni specifiche della squadra influisce direttamente sulle prestazioni del gruppo e sul suo rendimento generale. L’allenatore, quindi, non è solo un tecnico, ma anche un formatore ed educatore, poiché ha il compito di favorire l’apprendimento motorio e tattico, oltre a motivare e organizzare il gruppo. Secondo Claudio Antonelli e Adriano Salvini, studiosi di psicologia dello sport, l’importanza della versatilità dell’allenatore risiede nella sua capacità di alternare i ruoli di guida, formatore e organizzatore a seconda delle esigenze della squadra⁸. Una volta definiti gli obiettivi stagionali, l’allenatore deve identificare gli strumenti e le strategie migliori per ottimizzare le risorse umane a disposizione e superare gli ostacoli lungo il percorso

14.G. Northouse, Leadership: Theory and Practice, 4ª ed., Sage Publications, 2007, p. 63.

  • Giovannini, F. Savoia, Psicologia dello sport, Franco Angeli, 2002, p. 123.
  • Mazzali, Dinamiche di gruppo e leadership sportiva, Il Mulino, 1995, p. 89.
  • Antonelli, A. Salvini, Psicologia dello sport e dell'esercizio fisico, Carocci, 1987, p. 56.

 

Un aspetto fondamentale della leadership riguarda la gestione della motivazione. Albert V. Carron, esperto di psicologia dello sport, distingue quattro tipologie di variabili che influenzano la motivazione, in base al grado di controllabilità dell’allenatore e alla loro origine situazionale o personale. Tra i fattori che l’allenatore può controllare ci sono l'uso delle ricompense, la definizione di obiettivi chiari e il rinforzo positivo. Al contrario, elementi come il comportamento degli spettatori o la storia recente della squadra sfuggono al suo controllo15.

Oltre alla motivazione, l’allenatore deve contrastare il fenomeno della pigrizia sociale, ossia la tendenza dei giocatori a ridurre l’impegno all’aumentare della dimensione del gruppo. Questo fenomeno può essere spiegato da diversi fattori, tra cui il desiderio di minimizzare lo sforzo individuale, la percezione di non essere indispensabili per il successo del gruppo o la paura di essere sfruttati dai compagni.

Un altro elemento centrale della leadership è la coesione di gruppo, definita da Leon Festinger, Stanley Schachter e Kurt Back, pionieri della psicologia sociale, come il campo totale delle forze che agiscono sui membri per farli rimanere nel gruppo16. Le loro ricerche hanno evidenziato che una squadra stabile e unita è più resiliente nei momenti difficili, aumentando così le possibilità di successo. Alcune ricerche hanno però dimostrato che in determinati contesti una coesione eccessiva può compromettere il rendimento del gruppo.

Packianathan Chelladurai, esperto di leadership sportiva, ha sviluppato un modello multidimensionale della leadership, secondo il quale l'efficacia del leader nello sport dipende dall’interazione tra tre fattori: le caratteristiche del coach, le caratteristiche della squadra e il contesto. Secondo il suo approccio, la soddisfazione e la performance degli atleti dipendono dal grado di congruenza tra il comportamento richiesto dal contesto, il comportamento reale del leader e il comportamento preferito dal gruppo

  • Gestione e risoluzione dei conflitti nel calcio giovanile

Nel calcio giovanile, il rapporto tra l’allenatore e i suoi giocatori è un elemento determinante per il raggiungimento di obiettivi sia sportivi che educativi17. Essendo i bambini in una fase di crescita emotiva e relazionale, è normale che emergano conflitti all’interno della squadra. Questi possono derivare da incomprensioni, rivalità o difficoltà nella gestione delle emozioni. Per questo motivo, la comunicazione rappresenta un mezzo fondamentale per prevenire tensioni, favorire la coesione del gruppo e accompagnare i giovani atleti nella loro formazione sportiva e personale18

.15 A.V. Carron, Motivation in Sport and Exercise, Human Kinetics, 1984, p. 47.

16 L. Festinger, S. Schachter, K. Back, Social Pressures in Informal Groups, Stanford University Press, 1950, p. 89.

17 .R. Hackman, C.E. Walton, Leading Teams, Harvard Business Review, 1986, p. 77

18 M. Z. Hackman, C. E. Johnson, Leadership: A Communication Perspective, 6ª ed., Waveland Press, 2009, p. 32.

Michael Z. Hackman e Craig E. Johnson, studiosi di leadership e comunicazione, evidenziano che il dialogo tra leader e membri del gruppo non si limita alla trasmissione di informazioni, ma incide anche sulle dinamiche comportamentali e sulla percezione reciproca. Un ulteriore contributo arriva da Youngtaek Oh, ricercatore nell’ambito della comunicazione sportiva, che definisce questo tipo di interazione come lo scambio di informazioni tra atleti, allenatore e staff, con un impatto non solo sulle strategie di gioco ma anche sulla gestione delle relazioni all’interno del gruppo19.

Un aspetto centrale nella gestione dei conflitti è la capacità dei bambini di comprendere ed esprimere le proprie emozioni. Poiché spesso non dispongono ancora di strumenti adeguati a farlo in modo costruttivo, il mister ha il compito di aiutarli a riconoscere e gestire il proprio stato d’animo, favorendo empatia e rispetto reciproco. L’allenatore, pertanto, deve dedicare tempo all’ascolto e alla mediazione, offrendo ai giocatori uno spazio di confronto nel quale possano sentirsi accolti senza timore di essere giudicati.

Albert V. Carron, William N. Widmeyer e Lawrence R. Brawley, studiosi di psicologia dello sport, sottolineano che la coesione del gruppo dipende dalla qualità della comunicazione interna. Un ambiente in cui i giocatori si esprimono liberamente e ricevono risposte chiare consente di affrontare e risolvere più facilmente i conflitti20. Nei bambini, il senso di appartenenza alla squadra si sviluppa non solo attraverso l’apprendimento delle regole del gioco, ma anche grazie alla condivisione di esperienze e alla percezione di far parte di un gruppo che li sostiene.

L’allenatore può intervenire enfatizzando il valore del gioco di squadra. Spesso i conflitti nascono da episodi legati alla partita, come un gol sbagliato, un passaggio impreciso o un’azione difensiva non riuscita. In questi casi, il mister deve incentivare la cooperazione tra i giocatori, facendo comprendere che ognuno di loro svolge un ruolo importante, indipendentemente dagli errori commessi. Rinforzare i comportamenti positivi e valorizzare ogni contributo individuale aiuta a trasformare le difficoltà in opportunità di apprendimento.

Glen A. Cranmer e Scott A. Myers, esperti di comunicazione sportiva, affermano che una comunicazione efficace tra allenatore e giocatori favorisce la gestione delle tensioni e rafforza il senso di appartenenza alla squadra21. Nei momenti di difficoltà, il mister e il capitano assumono un ruolo fondamentale: attraverso colloqui individuali o riunioni di gruppo, possono affrontare i problemi, comprendere le loro cause e proporre soluzioni condivise. Inoltre, è importante non sottovalutare le capacità dei bambini nel risolvere autonomamente alcune situazioni di conflitto. In molti casi, il gruppo stesso è in grado di trovare un equilibrio senza l’intervento diretto dell’adulto. Kenneth Hardy, psicologo dello sport, suggerisce che i leader sportivi dovrebbero incoraggiare il confronto diretto e un dialogo aperto per evitare che i problemi si aggravino. L’utilizzo di strategie come il rinforzo positivo, il riconoscimento dei progressi individuali e la creazione di momenti di confronto collettivo permette di rafforzare il senso di squadra e di prevenire tensioni interne.

19 O. Youngtaek, Communication and Team Cohesion Moderate the Relationship Between Transformational Leadership and Athletic Performance, 2023.

20 A. V. Carron, W. N. Widmeyer, L. R. Brawley, The Measurement of Cohesion in Sport Teams, Journal of Sport Psychology, 1985, p. 213.

21 G. A. Cranmer, S. A. Myers, Exploring the Relationship Between Athlete–Coach Communication and Team Cohesion in Sport, Communication & Sport, 2015, p. 122.

Se il conflitto persiste e sembra derivare da dinamiche esterne al campo, come difficoltà scolastiche o problemi familiari, l’allenatore dovrebbe coinvolgere i genitori per trovare una soluzione che garantisca il benessere del bambino. Alcune situazioni di tensione sul terreno di gioco possono essere il riflesso di disagi vissuti al di fuori dell’ambito sportivo. L’intervento della famiglia, quindi, può contribuire a creare un ambiente sereno e favorevole allo sviluppo del giovane atleta.

Un buon leader deve trovare un equilibrio tra autorità e dialogo. Un allenatore efficace non impone soluzioni, ma coinvolge i giocatori nel processo decisionale. Comunicare in modo chiaro e coerente garantisce che ogni membro della squadra si senta ascoltato e valorizzato, contribuendo così alla creazione di un ambiente sportivo positivo e stimolante.

 

CAPITOLO III: LA RELAZIONE ALLENATORE-ATLETA

 a relazione allenatore-atleta nel calcio giovanile è fondamentale perché, oltre allo sviluppo calcistico del bambino, l’allenatore deve aiutare i giovani nella crescita personale fungendo quindi anche da educatore. Per sviluppare queste crescite, la relazione deve essere attiva: i partecipanti sono contemporaneamente l’allenatore e il bambino, senza che uno prevalga sull’altro.

L’ allenatore, quindi, deve essere anche un buon comunicatore per far apprendere ed esprimere al meglio i propri ragazzi.

  • Ruolo dell’allenatore come comunicatore ed educatore

L’allenatore non è soltanto un tecnico, ma anche un educatore che deve sviluppare competenze comunicative e pedagogiche per formare giovani atleti in maniera completa. Il suo compito è educare attraverso lo sport, trasmettendo valori fondamentali come la lealtà, il rispetto e il lavoro di squadra. Deve saper gestire le diversità dei suoi giovani calciatori e promuovere la crescita personale, valorizzando le potenzialità di ogni atleta attraverso condizioni ambientali e psichiche adeguate.

È essenziale che l’educatore, insieme alla famiglia, trasmetta correttamente le abilità emotive, cognitive e relazionali che facilitano l’adattamento dell’individuo nei diversi contesti sociali. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha individuato dieci competenze chiave, le cosiddette Life Skills, fondamentali per lo sviluppo armonico degli individui:

  • Consapevolezza di sé: riconoscere i propri punti di forza e debolezza, comprendere le proprie
  • Gestione delle emozioni: dare significato alle proprie emozioni e imparare a
  • Gestione dello stress: identificare le situazioni stressanti e comprenderne le
  • Capacità di comunicare in modo efficace: trasmettere un messaggio chiaro evitando
  • Capacità di costruire relazioni efficaci: sviluppare rapporti adeguati al
  • Empatia: comprendere le emozioni e i sentimenti altrui mettendosi nei loro
  • Pensiero critico: analizzare le situazioni in modo autonomo e
  • Pensiero creativo: trovare soluzioni alternative e
  • Capacità di prendere decisioni: assumere comportamenti volontari dopo un’attenta
  • Capacità di risolvere i problemi: affrontare e risolvere in modo efficace le situazioni

Oltre alle competenze pedagogiche, un allenatore deve affinare le proprie capacità comunicative per trasmettere con chiarezza concetti e motivazioni, sapendo adattare il proprio messaggio in base al contesto e agli interlocutori. Deve praticare l’ascolto attivo e instaurare una comunicazione bidirezionale, elemento essenziale per costruire un rapporto di fiducia con i giovani atleti. Un ambiente di apprendimento elastico e partecipativo consente agli atleti di sviluppare responsabilità e autonomia, facilitando la loro crescita non solo sportiva, ma anche personale e sociale22.

  • Conseguenze della cattiva comunicazione

Talvolta, tra allenatore e giocatori si può verificare una non corretta comunicazione che può portare a conseguenze riguardanti l’impatto psicologico del bambino ed effetti negativi sul rendimento sportivo: a livello emotivo, può portare stress ed ansia mentre per l’apprendimento sportivo non vi è l’acquisizione di un determinato gesto tecnico o concetto.

  • Impatti psicologici sul bambino

L’allenatore deve osservare e capire il comportamento dei giovani calciatori ed essere sensibile nell’accogliere i loro ragionamenti e sentimenti altrimenti può causare un senso di ansia e rabbia. Lo stress, ad esempio, è un’ importante conseguenza della comunicazione non corretta: quando l’allenatore richiede ai giocatori solo la vittoria sul campo, porta tutta la squadra ad una situazione di stress e pressione eccessiva che può tramutarsi in delusione e rabbia nel momento in cui avviene una sconfitta.

La scarsa comunicazione, inoltre, ha come conseguenza la perdita di motivazione e di intraprendenza nel bambino che non si sente aiutato e/o capito dal suo allenatore: il giocatore, quindi, può presentarsi ad allenamento svogliato e non fidandosi più del suo mister.

Un ultimo impatto psicologico è la perdita di fantasia nei giovani calciatori: l’allenatore non deve telecomandare il giocatore perché, in questo modo, non imparerà mai a sbagliare ed a capire come rimediare; non diventerà quindi un giocatore “pensante”.

Tuttavia, la cattiva comunicazione non ha impatti negativi solo a livello mentale, ma ha altrettanti effetti sul rendimento sportivo.

  • Effetti sul rendimento sportivo

Un primo effetto sul rendimento sportivo del bambino è la scarsa attenzione durante l’allenamento: se il bambino ha perso la fiducia dell’allenatore eseguirà gli esercizi proposti contro voglia e senza troppa comprensione.

22 A. Cunti, Relazione educativa e corpi, in A. Cunti (a cura di), Corpi in formazione. Voci Pedagogiche, FrancoAngeli, Milano, 2015.

Un secondo effetto è dato dal giocatore “telecomandato”: un bambino che non sperimenta, non imparerà mai nuovi gesti tecnici e non saprà gestire le diverse situazioni di partita, perché in allenamento, soprattutto, non gli è permesso provare.

Inoltre, le reazioni negative dell’allenatore di fronte agli errori dei giocatori – come una sgridata su un passaggio sbagliato – possono far loro pensare di non essere in grado di eseguire un determinato gesto tecnico. L’allenatore quindi deve stare attento alle proprie aspettative con i ragazzi: se pensa che un suo giocatore non sia in grado di eseguire un dato esercizio, attraverso una cattiva comunicazione, inconsciamente, lo trasmetterà al diretto interessato inducendolo all’errore.

  • Strategie per una comunicazione positiva con i giovani atleti

La comunicazione positiva, invece, porta al benessere psico-fisico del bambino: ha benefici per la gestione e interazione delle proprie emozioni ma anche per l’apprendimento e la creatività di nuovi gesti tecnici.

Una strategia molto importante dell’allenatore, per avere una comunicazione positiva con gli atleti, è usufruire della propria intelligenza emotiva: le emozioni infatti sono esperienze personali comunicate sia con il linguaggio non verbale che con quello verbale e, per questo, il mister deve essere in grado di gestire e regolare le proprie, così come quelle dei suoi giocatori, per avere una relazione bidirezionale e stimolarli a rendere meglio in allenamento e in partita. La relazione bidirezionale è infatti fondamentale perché, come spiegato precedentemente, l’allenatore deve essere in grado di ascoltare con attenzione i pensieri e le emozioni dei propri giocatori per capirli nella loro totalità e per stimolare comportamenti positivi, allo stesso tempo i bambini devono esprimere le proprie idee senza paura.

L’allenatore deve inoltre promuovere la creatività e la possibilità dell’errore al proprio giocatore per far sì che la fiducia nei propri mezzi aumenti ed incentivare la risoluzione del problema.

Il ruolo di una positiva comunicazione è altrettanto importante per il benessere psichico, come ad esempio la costruzione dell’autostima e della motivazione del giocatore.

  • Il ruolo della comunicazione nella costruzione dell’autostima e della motivazione

L’autostima e la motivazione sono dipendenti tra loro.

L’autostima, ossia il modo in cui si ha la percezione ed il valore di sé, accresce nel ragazzo tramite i feedback positivi sulle scelte mentali e tecniche che sperimenta e utilizza nel gioco: gli incoraggiamenti e il supporto aiutano infatti il giocatore ad avere fiducia in se stesso oltre a sentirsi apprezzato.

Una comunicazione positiva aiuta il bambino a prendere scelte rischiose accettando la possibilità di sbagliare; tuttavia, essendoci un feedback positivo dall’allenatore, l’errore viene capito portando ad un miglioramento del gesto tecnico oppure ad un’alternativa migliore della precedente.

La motivazione viene aiutata dall’autostima: l’allenatore, con una comunicazione chiara e motivante, aiuta i giocatori a capire i loro miglioramenti e fissa obiettivi sempre più complessi provocando un innalzamento dell’impegno e dell’attenzione migliorando così la resa del bambino. Anche per la motivazione i feedback sono essenziali: incoraggiare il giocatore dopo un errore li aiuta a non arrendersi e a recuperare.

La comunicazione positiva accresce quindi la qualità tecnica del bambino ma, allo stesso tempo, favorisce la sua crescita personale sotto tutti i punti di vista.

  • La gestione del rapporto con i genitori

Con i bambini di 10/11 anni la comunicazione e le relazioni non avvengono solo tra l’allenatore e il bambino, ma anche con i genitori.

I genitori hanno un ruolo altrettanto importante per l’educazione in ambito calcistico dei figli poiché agiscono sul clima emotivo del bambino: la presenza della mamma o del papà a sostenere ed incitare il giocatore con continui feedback positivi porta ad una maggiore sicurezza ed entusiasmo al bambino.

Non sempre però i genitori mostrano atteggiamenti positivi, ad esempio un dato tipo di comportamento non corretto può portare ad azioni negative al bambino.

L’allenatore, quindi, deve essere in grado sia di gestire il giocatore che di comunicare in modo corretto al genitore, per quanto riguarda le situazioni positive e quelle negative.

  • Mediazione e gestione delle aspettative

L’allenatore, all’inizio e durante l’anno calcistico, deve informare tutti i genitori della squadra sul programma, sullo sviluppo e sul rendimento dei propri giocatori per metterli a conoscenza della situazione: tale scelta porta ad un’esperienza calcistica e comportamentale diversa sia nel genitore sia nel figlio perché continuamente aggiornati. Un chiaro esempio per una positiva ed entusiasta esperienza per il bambino è la divisione e il rispetto dei ruoli tra allenatore e genitore. In alcuni casi però si può verificare un'eccessiva pressione posta sul bambino da parte del genitore con continue indicazioni tecnico-tattiche durante la partita o gli allenamenti. Quando si verificano questi atteggiamenti il bambino è portato ad ascoltare il genitore venendo a mancare così la cooperazione e il rapporto di fiducia e autorità tra allenatore e giocatore. L’intrusione dei genitori nel rispetto dei ruoli è un problema frequente nel mondo calcistico, portando spesso all’abbandono dei giovani calciatori che non riescono più a vivere lo sport con gioia e spensieratezza per le troppe pressioni ma che, cercando continuamente la perfezione, sperano di rendere fieri gli adulti.

Un altro aspetto importante è la gestione delle aspettative: l’allenatore può già dimostrare di avere

aspettative verso un determinato bambino, ma se questo continua a ricevere critiche da parte dei

genitori può arrivare a non tollerare i propri errori e a non viversi lo sport come un’esperienza positiva.

  • Comunicazione triangolare: allenatore, atleta e genitore

In conclusione, la comunicazione deve essere triangolare: allenatore-atleta-genitore. Questo rapporto triangolare viene definito “triangolo educativo” ed ognuno dei partecipanti ha il proprio ruolo da rispettare e, contemporaneamente, alcune responsabilità verso gli altri; per raggiungere un perfetto equilibrio, la relazione tra le tre figure deve essere positiva e con un obiettivo comune.

Il triangolo lo si può definire come un sistema dinamico poiché le diverse relazioni tra i suoi componenti ne determinano e influenzano le medesime oltre alle prestazioni sportive. Un’altra influenza che sorge da questo sistema è il tipo di relazione, positiva o negativa, che si instaura tra compagni di squadra ma aiuta anche per l’esperienza personale del bambino come lo sviluppo emotivo, l’autoregolazione e un sano sviluppo psicologico.

In alcune circostanze, può capitare che il triangolo mostri difficoltà a livello comunicativo e relazionale e, per questo motivo, come abbiamo detto nel capitolo precedente, è importante che l’allenatore mantenga informati i genitori delle varie situazioni, così da “remare tutti dalla stessa parte”.

  • Applicazione pratica

Dopo aver osservato dal punto di vista teorico la comunicazione e la relazione sotto i suoi aspetti generali e specifici, ora verrà analizzato un possibile episodio che si può verificare con possibile risoluzione tramite alcuni concetti trattati precedentemente.

  • Episodi significativi analizzati

L’episodio che andremo ad osservare è il seguente: durante una partita, il giocatore sbaglia un gesto tecnico, ad esempio un attaccante che dopo vari tentativi non ha ancora segnato. In questa situazione il giocatore è demotivato e insicuro dei propri mezzi poiché non ha ancora trovato la via del gol, e questo potrebbe renderlo nervoso e continuare a calciare senza logica. Dato questo episodio, l’allenatore deve essere bravo, tramite la comunicazione e la relazione che ha col proprio giocatore, a tranquillizzarlo e spronarlo a non mollare.

  • Applicazione dei concetti teorici alla pratica

Il primo concetto che si utilizza è la comunicazione positiva: soffermarsi e criticare l’errore al bambino infatti non lo aiuta, ma lo demotiva e lo rende nervoso durante il corso della partita; in questo caso, la comunicazione deve virare verso feedback positivi spiegando l’errore e chiarire che esso fa parte di un processo di miglioramento di volta in volta.

Un’ azione importante è ricordare i punti di forza del bambino, rafforzando così le sue sicurezze e l’autostima che in quel frangente stanno diminuendo: si può ad esempio insegnargli che, oltre al tiro in porta, ha altre qualità da utilizzare, come il fare l’assist per un compagno. Con questo tipo di comunicazione l’allenatore trasmette resilienza e aiuta il bambino ad avere una mentalità positiva, oltre a capire che dall’esperienza si può imparare a migliorare.

 

CAPITOLO IV: TIROCINIO

 Durante il mio tirocinio come allenatore di una squadra Under 11 presso l’Asola Calcio, ho avuto l’opportunità di applicare concretamente le conoscenze acquisite nel mio percorso di studi, verificando come la comunicazione giochi un ruolo essenziale nella formazione sportiva ed educativa dei giovani atleti. Ho osservato che non esiste un unico modo di comunicare con i bambini: ogni situazione in allenamento o in partita richiede un approccio differente, modellato sulle caratteristiche individuali degli atleti e sulle dinamiche di gioco.

Uno degli aspetti più significativi emersi dall’esperienza sul campo riguarda la necessità di adattare il linguaggio e la gestione delle relazioni in base all’età e alla maturità dei bambini. Alcuni giovani calciatori dimostrano un atteggiamento più spontaneo e ludico, mentre altri sviluppano già una mentalità più razionale e analitica. Questa diversità impone all’allenatore di calibrare le proprie modalità di comunicazione per garantire un ambiente di apprendimento positivo e inclusivo.

Un altro elemento fondamentale che ho potuto osservare è la pressione esercitata dai genitori sui propri figli. Spesso, nell’attività di base delle squadre dilettantistiche, la distinzione tra il ruolo dell’allenatore e quello del genitore viene confusa. Alcuni genitori si immedesimano nei figli, trasmettendo loro aspettative eccessive che possono compromettere il divertimento e l’autonomia decisionale dei bambini. L’allenatore, quindi, deve anche fungere da mediatore, promuovendo un ambiente in cui il bambino possa vivere lo sport senza l’ansia della prestazione imposta dall’esterno.

Un aspetto particolarmente critico che ho riscontrato è la ricerca esasperata del risultato da parte di alcuni allenatori, che in certe realtà locali prediligono la vittoria a discapito dello sviluppo formativo del bambino. Durante le partite ho osservato situazioni in cui gli errori venivano puniti o rimproverati anziché essere considerati parte del processo di apprendimento. Questo atteggiamento può avere conseguenze negative: i bambini, temendo di essere rimproverati o sostituiti, evitano di sperimentare soluzioni creative, limitando così il loro sviluppo tecnico e la loro capacità di problem-solving.

Questa mentalità orientata esclusivamente al risultato porta anche a una gestione problematica della sconfitta. Ho notato che molti bambini hanno difficoltà ad accettare l’errore come parte della crescita, reagendo con frustrazione o demotivazione. In un sistema che privilegia il successo immediato, il rischio è che i giovani atleti non imparino ad affrontare le difficoltà con resilienza e spirito critico. Durante il tirocinio ho quindi cercato di incoraggiare un approccio più equilibrato, enfatizzando il valore della “giocata”, ovvero il coraggio di provare una soluzione nuova senza il timore dell’errore, e promuovendo la sconfitta come opportunità di miglioramento piuttosto che come fallimento.

Grazie a questa esperienza, ho potuto consolidare ulteriormente la mia consapevolezza dell’importanza della comunicazione nello sport giovanile. Ho cercato di applicare un modello educativo basato sull’ascolto attivo, sulla costruzione di un clima di fiducia e sull’incoraggiamento della creatività e dell’autonomia decisionale. Questo tirocinio ha rappresentato un’opportunità concreta per mettere in pratica i principi analizzati nella mia tesi, confermando che il ruolo dell’allenatore va ben oltre la preparazione tecnica: egli deve essere una guida capace di educare attraverso il gioco, aiutando i bambini a sviluppare non solo le loro abilità calcistiche, ma anche le loro competenze emotive e relazionali.

 

CONCLUSIONI

 Questo elaborato finale ha voluto esplorare in profondità le dinamiche comunicative tra allenatore e giovane atleta, evidenziando il ruolo fondamentale della comunicazione nel calcio giovanile non solo per l’apprendimento tecnico, ma anche per lo sviluppo personale ed emotivo dei ragazzi. I capitoli hanno fornito una base teorica sulla comunicazione, sulle dinamiche di gruppo e sulla leadership, per poi analizzare la relazione allenatore-atleta e la gestione della comunicazione tra i vari attori in campo: allenatore, giocatori e genitori.

Nel primo capitolo, è stata tracciata una panoramica completa della comunicazione, esplorando i suoi fondamenti e le diverse modalità attraverso cui si manifesta: verbale, paraverbale e non verbale. È stato sottolineato e dimostrato come la comunicazione sia essenziale per stabilire un legame di fiducia e per la trasmissione di valori, come il rispetto e la cooperazione, all'interno di un contesto sportivo. L'analisi dei modelli teorici di comunicazione ha permesso di inquadrare le varie sfaccettature di questo processo, delineando come la comunicazione non sia mai unidirezionale, ma sempre interattiva e dinamica.

Il secondo capitolo ha approfondito il concetto di gruppo, la coesione e il senso di appartenenza, evidenziando l’importanza della leadership sia per la motivazione sia per la gestione dei conflitti. È stato osservato che un allenatore efficace è in grado di adattare il proprio stile di leadership, creando un ambiente positivo e inclusivo in particolar modo con atleti in età evolutiva. Un gruppo coeso e un ambiente favorevole sono essenziali per il miglioramento tecnico e psicologico dei giovani atleti, e la qualità della comunicazione gioca un ruolo determinante nel rafforzare questi aspetti.

Nel terzo capitolo, è stata analizzata la relazione tra allenatore e atleta, con un focus sul ruolo dell'allenatore come educatore oltre che come tecnico. Si è discusso delle competenze comunicative e pedagogiche necessarie per educare e motivare i giovani atleti, enfatizzando la comunicazione bidirezionale come strumento per instaurare un rapporto di fiducia. Le conseguenze di una cattiva comunicazione sono state esplorate, mostrando come essa possa portare a stress, ansia e demotivazione, compromettendo così l’apprendimento e il rendimento sportivo. Al contrario, una comunicazione positiva favorisce l’autostima, la motivazione e il miglioramento continuo.

Nel breve capitolo finale si è sottolineata l’importanza dell’esperienza di tirocinio, svolta come allenatore di una squadra Under 11 presso l’Asola Calcio. Questa ha fornito un'importante applicazione pratica dei concetti discussi nei capitoli precedenti. L’esperienza sul campo ha evidenziato che la comunicazione deve essere adattata alle diverse personalità dei giocatori, tenendo conto delle loro età e dei loro livelli di maturità psicologica. È emersa anche l'importanza di

mediare tra le aspettative dei genitori e il benessere dei giovani atleti, garantendo che il calcio rimanga un gioco divertente, libero dalla pressione eccessiva. Inoltre, è stato osservato come la ricerca esclusiva del risultato possa compromettere il processo di apprendimento e ridurre la possibilità per i bambini di sperimentare e crescere.

Questa ricerca nell’ambito del ruolo della comunicazione in una squadra di calcio Under 11 ha confermato che la comunicazione è una competenza fondamentale per gli allenatori di calcio giovanile, influenzando non solo le prestazioni tecniche degli atleti, ma anche la loro crescita personale e il loro benessere psicologico. La figura dell'allenatore emerge come un educatore che deve saper gestire la comunicazione in modo dinamico e adattivo, favorendo un ambiente positivo, motivante e inclusivo. Le riflessioni emerse dall’esperienza di tirocinio hanno ulteriormente confermato l'importanza di promuovere la creatività, l'autonomia e la resilienza nei giovani atleti, incoraggiando un approccio equilibrato che valorizzi tanto il processo quanto il risultato.


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